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Oltre ottocento alimenti popolano, sin da ora, l’Atlante del bello da mangiare, progetto multimediale che vuole diventare, in tempi relativamente brevi, una mappatura territoriale di uno specifico, quanto importante progetto gastronomico esaustivo, tale da indirizzare letture scientifiche verso un insieme di saperi, sintesi di saggezza gastronomica che trova varianti, declinazioni specifiche in singoli e definiti areali, operando per la costruzione delle radici identitarie. Dall’analisi delle informazioni organizzate emerge che la ricerca dell’armonia tra forma e sostanza tende ad un’elaborazione verso l’eccellenza gastronomica, ad elevare un cibo parte della quotidianità a cibo dell’eccezionalità. Dal tempo del lavoro a quello della festa. Una prospettiva, dunque, foriera di grandi indicatori di senso, di cifre ultime che possono dare un utile contributo al farsi delle Scienze Gastronomiche. Il design che segna questi cibi da noi studiati apre un interessante dibattito tra natura e cultura, perché molte volte il progetto culinario sta piuttosto alla natura che non alla cultura se abbiamo l’attenzione di ricordarci che la natura non esiste in natura: in quanto umani sono i nostri specchi culturali che ci riflettono forme e pratiche di natura.

A partire da questa riflessione molto interessante è il caso dei formaggi che, nel loro processo di maturazione a partire dal contenuto, autogenerano il contenitore. In un processo in cui l’uomo può essere assente o partecipe, in varia misura, come affinatore di formaggi, una professione che in Italia si sta costruendo solo ora. Il contenitore assume, dunque, forme naturali che sembrano però, per aspetti cromatici e variabilità della superficie, un progetto grafico di straordinaria, immutabile post-modernità. Che poi il contenitore sia scientificamente ritenuto non edibile si tratta di una conoscenza non sempre presa in considerazione da consumatori di formaggio che ritengono che il prodotto vada assaggiato e gustato nella sua integrità, trascorrendo dal contenitore al contenuto, alla ricerca di un sapore che solo la totalità del prodotto può dare. Un percorso gastronomico, un confronto con un alimento – questo – che ci lega fortemente alle profonde mitologie elaborate dall’uomo attorno al formaggio. Miti lontani, di cui rimangono lacerti di riti carnevaleschi (così come troviamo tracce di questo passato che attiene all’oralità per alcuni versi ancora primaria nell’arte popolare presente nelle chiese romaniche e gotiche), ci narrano dell’uomo selvaggio che un giorno ha insegnato all’uomo a trattare il latte e a conoscere la saggezza che richiede la preparazione del formaggio. Un mito di creazione che interpreta bene la natura e cultura che il formaggio sussume in un armonizzato progetto in cui il contenuto definisce la forma: un invito non male verso chi la forma la pensa al di là del contenuto.

Se è vera l’affermazione, oggi molto utilizzata e anche abusata, che la tradizione è un’innovazione ben riuscita, possiamo sostenere che per quanto riguarda il cibo, la categoria contenuto-contenitore permette di declinare al meglio questa affermazione, perché è nel rapporto tra forma e sostanza che si possono trovare interessanti proposte per innovare la tradizione, riproponendo la variabilità nella sua invariabilità che la rende tale.


Piercarlo Grimaldi – Rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche

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Davide Porporato – Professore Associato dell’Università del Piemonte Orientale